Introduzione a ‘Vaticinio’
di Fredi Chiappelli
   
Fredi Chiappelli   Il primo monito che prefatore, commentatore e lettore devono raccogliere e poi tener presente, è provvisto dai versi 206-7 di Vaticinio:

[...] i tuoi occhi
non scrutano l’intero;

Consegue che quanto verremo proponendo qui va inteso come possibile, ma anche come controvertibile, o variabile, o moltiplicabile. Le immagini che ci par di distinguere, o le conformazioni che additiamo, sono comprese in una vasta potenzialità suggestiva; la quale talvolta ha addirittura sembiante d’illimitata. Quindi lo scopo di una nota introduttiva è letteralmente di far fare ‘un’ primo passo al lettore nel campo di forze della poesia di Cagnone. Se è fortunato, è un passo fatale; quando il lettore riesce a compierlo, le sue proprie dimensioni e facoltà entreranno in gioco e determineranno le sue capacità di addentrarsi nello ‘spettacolo’ e nel variare dello spettacolo.
«Dolore del ritorno / da finito a finito non prevalga», proclama verso l’epilogo la ‘voce’ di Vaticinio. La dimessa metafora del Genesi (per il revertere da pulvis in pulverem) è archetipale. E il lettore che risale la sua tradizione più cristianamente illustre, e l’oltrepassa, al di là di Agostino e di Paolo, verso le Tusculane e fino al Fedone, cercherà d’incontrare nella memoria un altro poema ispirato alla contemplatio mortis che raggiunga la complessità e l’altezza di questo a lui offerto oggi dalla nuova poesia italiana. Scarterà, oltre agli autori di prestigio insignificante, la grande corrente del ‘memento mori’ liturgico, quella consolatoria delle artes moriendi, i repertori canonici di miseria umana, e isolerà, in questa summa così approfondita di difficoltà e ansietà reali, il tema del triumphus della poesia:

Chi ha dato la sua fede
all’incertezza, dimorando
per passioni e rovinando
in impure stridenti incenerite
parole, può acquistare le cause
del suo pianto, e con rinuncia
e rapimento lasciare per ultimo
il frutto, questa cosa di più
quando la terra riprende in sé
radici nel tempo avventurate.
(1668-76)

Creazioni poetiche sull’urna greca, di grande respiro, non si sono prodotte spesso nella Penisola. Al sommo, il Carme del Foscolo e il Secretum del Petrarca, entrambi totalmente trascesi dalla tensione fra ‘mortalia’ ed ‘eterna’. La polarità fa prorompere nell’uno lo stupendo impeto dell’oraziano non omnis moriar intagliato in cariatidi; e nell’altro drammatizza col dibattito fra la voce peripatetica di Francesco e quella stoica di Agostino un problema dottrinale di vigore inarrestabile. Vaticinio partecipa, nel suo assoluto differenziarsi, di entrambi i risultati monumentali. Tanto la problematica dottrinale vi si interseca in profondo quanto la visione determina e possiede orizzonti ed altezze spiegate.
   
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