Marina Pizzi
    Il vestitino bizantino
2016-
   
   

A un cuore in pezzi
Nessuno s’avvicini
Senza l’alto privilegio
Di avere sofferto altrettanto.
—Emily Dickinson


1.

Uccidi di me l’occaso
La tragedia minuta di essere
Serva scolara logora
Sopra la gabbia che mi pulsa.
Gelateria del Corso non fu l’infanzia
Adulta dozzinale campare le esequie
Di dì a dì. Patria confiscata la mia tasca
Scaturita da elemosine angolari.
Mi amò un ragazzo giovane giovane
Valse per me un circuito di nulla
Ma da vecchia mi rovina vecchia.
Oggi il tempo vacuo che mi sperpera
Perpetua le rovine d’attesa
Le sabbie mobili che per collare mi stanno.
Regia d’inverno ormai la girandola
Questo pallore d’ergastolo nel sanatorio
Postremo enigma il saluto d’àncora.


2.

Ho 40 di febbre e mi sento una bambina
Volante alla faccia di tutti i certificati
Medici. Nessuno capisce cosa voglia dire il male
La gentucola che s’incontra in ogni istante
E la ferraia della garrota. Nessuna pietà è consentita
Dacché nemmeno Gesù esiste. Stamane farò
Una colazione da nababbo alla faccia della nevrastenia
Incombente molto piena di fruste
E sterminio di risate per salse di cuoco
Vereconda perla di una nazione.
Disastro di notte non basta morire
Sotto mimose appena fiorite
Nel febbraio che io do a discordia
Netta. Mai avuto un alibi, tutto vespro
Oltre misura vero. Stazione di gestapo
Il cuore a placche nere sotto cancrena.
I pipistrelli trascinano il mio stato
Strampalato alambicco intasato.
È presto per commettere un omicidio
Su me stessa micio senza ciotole né coccole.
Stasera mangerò il cacio dei topi
Augurandomi di non essere vista
Strega bontade in realtà se resto.


3.

Natalina portava la parrucca
Per nascondere la calvizie della chemio.
Era mamma da poco e le restavano pochi giorni.
L’ultima frase che disse fu “non voglio morire”.
Morì un po’ prima di Natale, Lei Natalina.
L’occiduo duolo svolazzò le ceneri.
   
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