Marco Giovenale
Sequenza da In rebus
                 
si ombra per l’arrivo
di sonno, per i ragazzi
chiassosi, toy, rissosi,
nella strada, yo – che (loro) hanno
calci e “le colpe”

fanno facendo con grossi colpi rassuonare
i doppi bidoni, con palmi i clacson, morso
minimo, bit ai conti, però muti,
fluenti, che influiscono – a picchi
di necrofanie – sui canali, della città, una
città – dite dicono – mai vista? – qui virescit
nel fondo dell’acqua
  febbraio fa iniziare
il corso di recitazione,
un lembo del muro volato
verso agosto le esatte
parole nella loro
fila dalla fresa, a sua
volta ferita
  vanno nel giardino così cambiandolo
e le troppe felci di troppi metri
di verità di nero dato al sole
scóntano dentro la propria funzione
di terra: ridire, disfigurare
da zero a zucchero a frutto: un secondo

zero, più pieno, per cui c’è guerra
  (non vuole essere
visto mentre vede

così della casetta, della casamatta calcinata
riprende la scocca senza finestra
dove non ci vive e meno vince
la ramatura, non si sposta e si sposta
la griglia di perimetro – cattura
le radioonde – grammatica / lontana –
che fanno i cacciatori in ciascuna
domenica,      gara a chi centra il piccolo)
  (adesso è nero è dorico. non è barocco. dorico demolito. pezzi in terra.
accumulo wunder.

underwater)
 
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