Giampaolo De Pietro | |||||||||||||||
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Da Nell’ordine di scomparsa di una nuvola in un albero | da Novembre e le luci del discorso | da Abbonato al programma delle nuvole (L’arcolaio, 2013) | |||||||||||||
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Fra poco questa luce sarà rubata dal fianco della porta, abbassate le ciglia resisteranno all’acqua calda, la luce poi verrà distratta dagli arrivi dei colori tenui, attenta ancora un po’ prima dell’assoluzione tra la spugna dell’accappatoio e il brullo della pelle, passerà come un’ombra in casa addossata a tutti i presenti, chiacchierando da passante con gli oggetti, saluterà per ultimi gli interruttori, rimando in fine con: sera, spera e notte intera – luce che si avvera. |
Qualche piccola luce rimane a stento. Qualche poca cosa sconfina infine. Che grado d’aria è struccarsi di stanchezza fino a qui. C’è un arrivo e c’è uno scrivo, sono vivo, e poi mi passerà |
Dall’altra parte della città, sotto il manto della velocità, circondato ancora da un traffico di clacson e disordini, potrebbe credersi lei non ci sia più. E con tutta la malinconia e tutto lo spazio del riflettersi, nel tempo invece ci si ritrova a parlarle, a confrontarsi con la sua presenza e conoscenza. Il pensiero dei pensieri sopra la città odora, profuma verde di collina e vi si combina, anche il suo pensiero si stima allora possa concimarsi avvicinandoci a una fioritura prossima di stagioni, nell’incapacità che ha l’affetto di perdersi, perenne per nostra natura |
Sono stato a casa tutta la sera, ho studiato, che vuol dire aspettato, disegnato, preso spunto dal sentirsi affacciati. Non è per compiacerlo, il tempo, che ho ascoltato il ticchettio attento al viavai dei suoi passanti tra gli astanti battiti anche i più distraenti, senza di mezzo me, a provarci i pensieri dell’intera sera a aspettare anche solo l’immagine di te che sorridi leggero come la mano che ti passo sul volto, come dichiarare uno spigolo e prenderlo con sé – in seria, leggera, piena considerazione |
Quando a velocità quella nuvola scompare dentro quell’albero, si perde e trova tutto, in quest’ordine, nell’ordine di scomparsa di una nuvola in un albero |
fare qualcosa di ciò che non puoi solo buttare, fare con qualche parte, di questo qualcosa, qualcosa. una traccia a intrecciarsi. più volte a una volta. a una prima spanna. chi possa farla, la misura, chi lo sa mai. no, neanche tu lo sai, che strada stai percorrendo, la puoi, al massimo, rintracciare per nome e cognome, per l’ora al polso, l’orologio alla parete, la parete a sostenerne un’altra, appoggiate, solidali, le une con le altre, a fare il fatto della stanza, al di là del fatto che tu ci sei, o sia, o no. Passo, o meno. il perimetro lo ha ben più impresso, e chiaro, e muto e ordinato, il gatto. per lui è gioco, abitazione, animazione di immoto incontrastante vivere, con ogni pelo suo bianco immacolato. o piume di credere. in tutto ciò che i sensi attenzionano, a tutti i minuscoli fruscii, e poi dormire. | il pane delle stesse cose – il frusciare delle tue rose di stanze – il salterellare del canarino e del mare – il sospirare sulle stesse linee chiare sorella verde chiara ho il tuo nome tra le dita come margherite della mia mano l’azzurro lo si vede dal corpo che scende le scale o le sale |
scrivere viene scrivere se ne va scrivere resta un po’ rimane come a una mano il freddo all’altra il rifugio va’ e viene, torni e sciopera e non c’è tangenziale che prenda non ama la velocità che invece prova ad accettare, senza prendersi del tutto il suo pressare, ma soltanto il lato fallimentare o quello ideale tutt’ al più si perderà la carta la voce il testimone, e non è universale e un aggettivo trovato in finale quando nemmeno più serviva, scrivere non è un’iniziativa ché ora che mi viene è una parola bruttina, invece adesso ha una misura, così costante da parer vera, vera e trattenuta, ma è uno sbaglio immantinente risultato, scrivere non è niente, ha più risorse il pianto, forse, più sorgenti il riso. ripeto a fiato. Scrivere proviene da un’altra stella, che crolla tra il vetro e la carta. |
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