Antonio Bux
Poesie inedite tratte da “Sativi”
HO SOFFIATO VIA SULLE RADICI
delle vite che mi ascoltano. Una pace
vicina finge di proteggere. Il meleto
dorato serpeggia meglio sembra un
muro amico mentre sfalda al sole.
E anche noi come rane in prossimità
di un lago di sale, siamo aiuole scalze.
Tutto questo perderci è della ragione
  LA CORSA AGLI ATTREZZI INCHIODA
i polsi. Una fame vittoriosa o soltanto
voglia di semina. C’è del sangue nel
caglio del latte. Una specie di femmina
fermentata. Come un geco muove
l’albero dalla sua ombra. Nessuno
può pregarvi dentro oltre la pelle
  SE NON HO AVUTO UN PADRE
è perché sono senza figlio. Una crescita
sola si distingue come il ramo dall’albero.
Trasmigra dentro un nuovo frutto. Così pare
dimenticarsi il sole dell’eterna luce quando
contro di sé la rigenera. Ma forse nell’occhio
lucente di chi sarà dopo potrà esser di nuovo
prima del suo buio assoluzione verso l’alto
  SONO TORNATI A PARLARMI IN SONNO.
Non c’era nessuno, ma mi si parlava. Del meno
saputo conquistare, della fatica. Ma com’è
difficile cambiare se sono uomo e poi scelgo
la vita. Vorrei non scegliere e dormire o solo
la pace del risveglio che non c’è. Per dirmi
parole che preferisco sognare. Non più mie ma
del senso di un segnale. Di come fare a dormire
  RISALIAMO DALL’ODORE DEI MOSTI.
Il bosco di fragole coordina i campi.
È un rosso contro sera, a fare tardi.
Ma indossarsi serenamente, senza
cena o giaciglio di lana, crea la pecora.
Il sudore al freddo, la bianca scoperta
del buio perfino a lato. Del buio gemello
  SE UN DESERTO È CHIMICO
fa sabbia due volte. Nelle sue cunette
annida più demoni. Ma non pecca
oltre il sibilo della serpe che muta.
Nutre il vento, sospinge uno stormo
di corvi verso il volo vero. Crea falde
concentriche dove beve l’uomo e fa
la sua donna bianca. E il bacio fluido
fiume trasparente. Però giunge presto
il deserto e colora troppo. Chi non lo
sa, vive sognando eremiti. Mai la verga
piegata o il bastone gravido. Suona solo
un tempo di specchi, o finge vigliaccheria
per stringersi al gregge. Ma nel deserto ciò
che è del gregge si dissolve. Resta la mano
complicata che scende verso il vertice del
fuoco. Presto si sveglieranno i suoi draghi
  FINALMENTE I DIVANI DEMOLITI
dai gerani. E transenne di fiori, ovunque
con zanzare ferme, in processione. E così
diminuisce il cielo, senza sera quando anche
la temperatura si fa segno sulle braccia. Non
ci accorgiamo della palude, degli stormi bassi
di pipistrelli bianchi, dei coccodrilli affamati
già alle caviglie. Da bambino sognavo così
di lottare in foreste coi giganti, e di far l’amore
tra cuspidi di agavi con due fate turchesi. Ma ora
i soli arnesi appesi al corpo sono letali stuoie
di bitume. E c’è una specie di solitudine, muove
la mente e non è più umana, perché sola smette
i panni della lingua, sola mostra a tutti i suoi lutti
innaturali. Cresce spontanea, tosse algebrica conta
ad uno ad uno i morti di ogni ora e ne fa risultato
da dichiarare alle stelle. Così arriverà fino a noi?
 
             
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