Francesco Marotta | |||||||||||
Esilio di voce | |||||||||||
scrivi strappando chiarori di pronome dalla voce la luce malata che s’innerva al rantolo di un verbo scrivi con lo stilo di ruggine che inchioda l’ala nel migrare anche la morte che sul foglio appare dal margine di sillabe di neve s’arrende alla caccia al sacrificio necessario dell’ultima lettera superstite |
ci accomuna la conta differita dei morti la mano adusa a separare codici e correnti dal gorgo dove si adunano le ore indicibile chiusa di apocrifi in sembianti di volti di giorni in forme declinanti di parole |
come questa luce di specchio quando raccoglierla è già spreco di fulgidi rosa un chiedere al sonno gli spazi intagli per minimi azzurri l’abuso di crescere che sia privo del prima mutilata la mano da una lama d’inchiostro che trema sul foglio |
guarisci il dubbio trafitto dall’ansia di essere riparo malattia a cadenze autunnali guarda gli sterpi che ti battono un’altra luce sui fianchi e nell’ombra che sale gioca il sogno di un confine sospeso la tua pelle si stacca aggiunge ore ai tuoi segni al graffio che resta dove togli parole ai tuoi occhi |
assenza che sia illuminata erosione un luogo che i sensi coincide a un poi di riflessi se colma l’immagine di grandine di minerali celesti e trascina a ogni singola mano sangue di fuga all’occhio l’identico accordo l’energia perversa di un dono l’attrito di maschera e volto impaziente del balzo |
è un abbaglio la morte la polvere sbrina il suo vento sull’acqua un abisso d’aria e correnti che l’arte della pietra modella per l’oblio materno dell’alba |
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