Enrico Cerasi
Se rose nuovamente
                                                 
Rugiada degl’occhi, delimitati
dal chiaro d’un nome. Resta celata
la taciturna cenere
dispersa sotto il letto. Domani
sarà polvere di pensieri – ruggine
grigiastra del cuore. Da chi andremo, Maestro?
noi orfani d’amore – precocemente
...
  L’anima e quell’unica gemma
l’una all’altra avvinghiata
lottando senza tregua
la gran guerra del vento
di marzo. Nuda vita
d’inverno – nudi gli steli - taciuti
i pensieri - serrati
gl’usci le rose i velenosi...
  Assomiglia a un geranio
il fiore sbocciato stanotte -
          ma tra le sue foglie sibila vento
di bora. Ma la casa
del giardino di maggio
avrà un nuovo steccato, ridipinto.

Bora chiara di marzo ha riscoperto
la carcassa gelata
del merlo.
  Sezioni coniche di vuote chiacchiere -
ma parola è solo l’indizio
d’una mancanza. Ché tutto dipende
dalle cose che sono
(e il bicchiere, ch’è sempre mezzo vuoto).

Ma quale sarà la parola,
quel bacio che un giorno di maggio
- se rose nuovamente -
si farà mondo?
  Non conosco briciola d’erba
cui si negherebbe una degna
sepoltura. E il gatto selvatico
da lontano m’insegna
del mio tempo l’esatta
andatura. Domani
gl’anniversari le corse i lodevoli
pensieri. Sorvolando
cimiteri d’automobili e il gatto
sotto sotto acquattato,
la rondine, la briciola
d’erba, domani...
  Quand’anche mi attenessi al vento
alla docile movenza del tiglio
nel tempo in cui rinascono
roveti di rose e le crude
ciliege. Che sia l’anima
l’ambiguo-orgoglioso termine
delle nostre speranze?

L’anima e la gemma nascondono
quell’unica taciuta
parola.
  Nella trama degl’anelli perduti
- l’eterna sequela di ruggine
e d’oro – quella parola che il tempo
concede e trattiene, a nostro disdoro.

Ma il grano alla radice dell’ulivo
attende la falce, che del frumento
conosce la trama, e quella taciuta
preghiera. Ma tra le disperse schegge

delle rose, riconoscendoci
a ordinare frammenti.
  Nel giorno in cui diramano
le rose e i ricami di gesti e
parole, non tornano i conti
dei nostri dolori. Se pur rigando
cumuli di lacrime e foglie a pena,
anche quest’ora è venuta. Ma pure

quell’ombra alla finestra apparsa
non era della gatta
Martina.
  Piú tardi, interrogando il merlo,
conosceremo gli scarsi segreti
del ciliegio. Confondersi nel vento
tra le foglie ascoltando
ciò che resta del canto
della sua disparsa progenie. Questa

la stagione, questa improvvisamente
l’ora di udirlo.
  A te che sempre precedendo-
mi procedi a mio fianco
che perdendomi mi guardi perdere
le poche briciole d’erba del prato
di casa. A te che mi sfiori, che rodi
le funi, che ancora assapori
l’eco dei passi
non fatti, quel fibrillare di battiti
non detti, quei gesti insorti a tacere
l’ambiguo limitare
dell’ombra.

L’incosciente dispendio dell’origine
ancora non è tutto.
Ci precede un vuoto che animerà
ogni cosa tra noi dispersa.
  Indugiando in chiaro-di-marzo
tengo a mente i tuoi nomi
nascosti tra le pieghe
di quel Nome che ancora non ricordo.

Nel fiore che – sai – non risplende
lo stelo custodisce e venera
il vuoto che andando ci precede.
  Apparsi poco prima dell’inizio
del tempo, i tuoi occhi azzurro-del-cielo,
incarnando presagi.

Poco dopo un cortile
tra le macerie dei giochi d’infanzia
nell’inquieta attesa del non venuto.

Esplosione del limite, ascoltando
ciò che non genera alcuna ragione,
ma dolori ed enigmi.

Esperienza di legàmi, svèllersi
degl’orizzonti avìti
balbettando parole su parole.

Tempo della fine, dopo di che
- scoprirsi nudi e inesperti, scordando
il prima dell’infanzia.
  Lenta, ritrosa costruzione d’ombra
ambiguamente
a motivo del vento.
Vortice di foglie, antico trionfo
di polvere e trame di cose intanto
sparse.

Deposizione della falce
sotto lo sguardo silente del merlo,
nell’istante che separa la morte
del bocciòlo e l’avvento della rosa.
 
DIALOGUE